DOC
EYMERICH E I SUOI FIDI ALLEATI IN:
“MINACCIA
DAL PASSATO”!
1.
Il profilo di Saragozza è
inconfondibile.
Anche il viaggiatore che meglio
conosce le città d'Europa e degli altri mondi, se vi si ritrovasse
improvvisamente per opera di stregoneria, non stenterebbe un attimo a
riconoscerla. Soprattutto al tramonto, quando i suoi edifici sono lambiti
dagli ultimi raggi del sole morente, e le sue guglie e le sue vetrate si
accendono come di un fuoco sovrumano, Saragozza rivela tutto il suo incanto,
quasi fosse essa stessa figlia di un incantesimo del Portatore di Luce.
E all'interno del suo profilo, un
edificio si staglia su tutti, come a sottometterli con la sua alta mole,
possente e al contempo elegante. Chiunque, in città, conosce quell'edificio e
conosce il nome di colui che lo abita, ma pronuncerebbe questo nome solo con
cautela e quasi con reverenza.
E’ il Grattacielo di Doc Eymerich e
dei suoi fidi alleati!
Fu nell'atrio di questo grattacielo,
una mattina di qualche mese fa, che un uomo entrò di slancio, respirando
affannosamente e con un'espressione del volto da far credere che avesse visto
tutti i demoni dell'inferno.
Uno degli armati che il Justicia
metteva ben volentieri a disposizione di Doc Eymerich fermò l'uomo: "Eh,
amico, che faccia! Sembra che tu abbia visto tutti i demoni dell'inferno!"
"E così, è proprio così, Iddio
mi è testimone! Devo parlare subito con Eymerich!",
"Doc Eymerich, per te,
amico."
"Sì, certo, Doc Eymerich. Solo
lui potrà aiutarmi. E aiutare questa città, prima che finisca nelle fauci
dell'Ade!"
"Di', non avrai preso questo
posto per un manicomio? Il Doc ha cose pi importanti da fare che ascoltare gli
ubriaconi come te. Di prima mattina, poi!" E sbuffando si risistemò la
mitraglietta a tracolla e si diresse verso la guardiola da cui era uscito per
accogliere l'uomo terrorizzato. Ma questo non fu fermato dalle parole del
guardiano, e si lanciò con tutta la scarsa energia che aveva per scavalcare i
tornelli che impedivano di proseguire verso l'interno. L'armato non si fece
cogliere di sorpresa e lo fermò agevolmente prendendolo per un braccio.
"Che cosa credi di fare? Credi forse che scherzassi?"
"Ti dico che è importante! Ne
va della vita tua, mia, di tutta la città! Che dico della vita, della salvezza
eterna!"
Per tutta risposta l'altro lo portò
verso l'uscita, quasi sollevandolo di peso: "Ma fila, va' !"
"No! Lasciami! Eymerich! Doc
Eymerich! Ho visto la Mano di Dio!"
"Ora ti faccio fare un bel
tuffo nella fontana, a te e a tutte le mani!"
"Lascialo." Una voce
imperiosa, apparentemente pacata ma che risaltava anche al di sopra dei rumori
della lite, paralizzò il guardiano. La voce veniva da una torre d'uomo, i cui
tratti affilati e il cui aspetto quasi ascetico non stonavano nell'insolito
connubio con un fisico erculeo, i cui muscoli possenti erano mal celati dalla
tonaca e dallo scapolare che li ricoprivano. Si capiva con uno sguardo perché
quell'uomo incuteva terrore nei malvagi e ispirava fiducia ai giusti, così come
a vederlo sembrava ovvio il soprannome con cui era noto,"Inquisitore
d'Acciaio".
Era Doc Eymerich.
Alla sua destra e alla sua sinistra,
i suoi fidi assistenti: il tenente colonnello Jacinto Corona, noto ai più come
"Padre C", la cui fine conoscenza delle leggi di Dio e degli uomini
era pari solo alla determinazione quando si trattava di agire; e il maggiore
Francesch Alatzar maestro, come tutti quelli della sua razza, dell'intrigo e
della doppiezza ma che, redento, aveva posto al servizio di Dio e di Doc
Eymerich le sue discutibili abilità.
L'armato abbandonò immediatamente il
braccio dell'uomo terrorizzato e si girò verso l'Inquisitore d'Acciaio:
"Ma, Maestro..."
"Lascialo e fallo venire
qui," ordinò Doc Eymerich.
L'armato non proferì più parola,
mentre l'uomo si avvicinò a Doc Eymerich con fare reverente, quasi
inchinandosi. "Doc, ho paura...
"Non devi più temere, ora.
Raccontami tutto dal principio...
* * *
2.
Aristea, pensieroso, percorreva
a passo lento una viuzza del Bruchion. Non che non avesse fretta, anzi. Ma
prima di arrivare alla reggia, doveva fare un'ultima volta mente locale.
Sembrava che il suo piano stesse
funzionando, ma molte cose potevano ancora andare male. Demetrio, il
responsabile della Biblioteca, avrebbe potuto cambiare idea e non presentare al
re la proposta da cui tutto il resto dipendeva. O lo stesso re avrebbe potuto
ignorarla senza neanche prenderla veramente in considerazione. Dopo tutto il
grande Tolomeo Filadelfo, potente sovrano di gran parte del mondo civile e
soprattutto custode degli innumerevoli papiri che racchiudono tutto il sapere
greco, avrebbe benissimo potuto infischiarsene di quelle che, per lui, erano
solo le leggende di una piccola popolazione che viveva a Gerusalemme e
dintorni.
Oppure qualcuno, come quell'Apione,
geloso del suo successo, avrebbe potuto insinuare che lui, Aristea, era in
realtà ebreo e che quindi il suo suggerimento di far tradurre in greco e
incorporare nella Biblioteca i libri della Legge ebraica non era animato dal
solo desiderio di ampliare il patrimonio librario del re.
Sarebbe stato difficile difendersi
da un'insinuazione simile, d'altronde, visto che corrispondeva a verità. Ma se
i pagani estendevano il loro dominio dall'India al grande fiume Oceano, perché
lui e i suoi non potevano fare qualcosa per far si che le Scritture quanto meno
sopravvivessero? Già il Tempio era stato distrutto una volta e faticosamente
ricostruito. Non passava giorno senza che qualche fanatico profetizzasse che
anche il nuovo Tempio sarebbe stato distrutto e con esso il popolo eletto. Che
almeno la Parola trovasse ricovero..
Eccolo arrivato di fronte alla reggia, alle cui
spalle il Mediterraneo riluceva al sole. Mostrò il lasciapassare che lo
identificava come aiutante di Demetrio e le guardie sollevarono le lance per
permettergli di entrare a palazzo.
Prima di entrare, si girò per
gettare ancora uno sguardo sul Museo, su ciò che di più importante conteneva,
la Biblioteca, e sul resto di Alessandria.
* * *
3.
Doc Eymerich stette per molti
minuti immobile e in silenzio a riflettere sullo strano racconto dello sconosciuto.
I suoi collaboratori sapevano bene che l'ultima cosa da fare in queste circostanze
sarebbe stata interromperlo, magari per fare qualche sciocca ipotesi, finché
non fosse stato il Doc stesso a interrogarli.
Infine l'Inquisitore d'Acciaio si
alzò, fece qualche passo verso la finestra e chiese: "Corona, Alatzar, che
ne pensate?"
Padre C azzardò un "Certo, si
tratta di un fatto molto insolito... Rubare una Bibbia.. . In quel
modo..."
"Doc, siete certo che quell'uomo
dicesse il vero?" azzardò Alatzar.
"Sì, assolutamente",
rispose Doc Eymerich, che leggeva nel cuore degli uomini. "Nella sua
libreria dev'essere accaduto effettivamente qualcosa di misterioso, anche se
egli ne ha forse frainteso la natura. Ci troviamo di fonte ad un furto e alla
scomparsa del ladro in circostanze inspiegabili. Vi dico io che faremo. Padre
Corona, la vostra esperienza vi aiuterà ad indagare negli archivi dei tribunali
ecclesiastici e civili, delle stazioni di polizia e dei giornali alla ricerca
di casi simili. Tu, Alatzar, scenderai nei bassifondi in cui ti sai tanto bene
dissimulare e cercherai di apprendere se qualcuno sa qualcosa del furto. Quanto
a me, darò un'occhiata a quella libreria. Bene?"
"Sì, magister" risposero
quasi all'unisono i due.
* * *
4.
Settantuno paia di occhi lo
fissavano trepidanti.
Oramai solo lui, Eleazar, gran
sacerdote di Gerusalemme, poteva trarli d'impaccio.
I primi giorni Tolomeo aveva fatto
allestire in loro onore un grande simposio, premurandosi che nulla mancasse ai
suoi illustri settantadue ospiti, i più grandi sapienti ebrei dell'epoca, sei
per ognuna delle tribù di Israele. Sarebbe stato offensivo da parte loro non
apprezzare ogni cibo, vino, spettacolo messo a disposizione dal re.
Nei giorni successivi molti
sapienti locali e studiosi che lavoravano nella biblioteca avevano voluto
incontrarli, mostrando un interesse così insistente da parere a volte che non
li preoccupasse il fatto di distoglierli dall'opera a cui dovevano dedicarsi.
Apione il grammatico, per esempio, si era fatto spiegare minuziosamente più e
più volte i dettagli dell'alfabeto ebraico, dei suoi segni vocalici, del valore
numerico delle lettere e così via: "E dimmi, Amos, com'è che qui lo shwa è
muto anche se questa vocale è lunga? E questo accento, è uno di quelli che si
trova solo nel libro dei... com'era. . . ah, Salmi? Anche quest'altro?"
Spesso, poi, dopo queste visite si
accorgevano della mancanza di alcune delle tavolette di cera e dei papiri su
cui scrivevano. In un'occasione era addirittura sparito un rotolo della Torah.
E non aiutava il fatto che il gran
re stesso non mancasse di venirli a trovare quotidianamente, per porre loro
delle domande che variavano dalle sommità dottrinali a consigli pratici.
Ora rimanevano solo tre dei
settantadue giorni che il re aveva concesso loro e della versione greca della
Torah erano riusciti a redigere appena qualche pagina.
"Rabbi, come faremo? Che ne
sarà di noi se non presentiamo la traduzione? E che ne sarà di tutta la
comunità ebraica di Alessandria?"
"Rabbi, sei il più anziano e
sapiente fra tutti noi. Solo tu puoi aiutarci!"
"È solo il Santo, sia Egli
benedetto, che può aiutare tutti noi, non certo io."
"Ma Rabbi, la tua conoscenza
della Qabbalà è senza pari. Padroneggi i misteri delle Sefirot dell'Albero
della Vita come nessun altro. Ci sarà certo qualcosa che puoi fare!"
"La conoscenza, come sai bene
anche tu, serve ad essere uomini migliori e più vicini al Santo, sia Egli
benedetto, comprendendo meglio la Sua parola, non certo a fare incantesimi
come i personaggi delle leggende dei Gentili."
"Non c'è proprio speranza,
allora?" chiese Binyamin, il più giovane dei sapienti.
"Ho detto forse questo?"
Nelle ore successive fervette
l'attività: alcuni con grande cura tracciavano in terra disegni col gesso,
disegni che superficialmente potevano parere di quelli su cui i bambini
saltano per strada, ma in cui i sapienti ebrei tracciavano delle scritte con
attenzione religiosa; altri scorrevano la Torah, come a cercarvi qualcosa, con
la massima fretta ammissibile trattandosi di rotoli sacri e delicati; altri
ancora discutevano, ora a bassa voce, ora animatamente, ma sempre attenti
all'operato degli altri, che a loro volta non perdevano una virgola dei loro
scambi di opinioni.
Infine fu tutto pronto. Non restava
che mettere in atto i preparativi fatti.
"Amos Ben-Enoch, tu sei il più
anziano dopo di me: andrai per primo", disse Eleazar ponendogli una mano
sulla spalla. "Io non ho più l'età per queste cose, ma tu percorrerai
l'Albero della Vita meditando sui veri nomi del tempo e dello spazio e della
verità e della vanità nella lingua originaria. La conoscenza dei veri nomi dà
potere: dobbiamo usarlo nel più giusto dei modi. Lo stesso farà ognuno di voi
dopo il primo. Se il Santo lo vorrà, vi ritroverete in un altro tempo, in un
altro luogo, quando la nostra Opera sarà già stata compiuta. Ognuno rintraccerà
una copia della traduzione che avremo consegnato al re e la riporterà qui. Le
confronteremo e trascriveremo, e così compiremo l'Opera."
Un momento di silenzio seguì le
parole di Eleazar. Questi passò in rassegna i suoi compagni incontrando
singolarmente lo sguardo di ognuno e poi, allontanando la mano da Amos, gli
fece un cenno verso il diagramma tracciato in terra, composto di dieci cerchi e
vari segmenti a congiungerli.
Amos entrò nel cerchio più vicino a
lui, quello con la scritta "Malkut",il "regno", il mondo
sensibile, chiuse gli occhi, iniziò a mormorare qualcosa tra sé e a percorrere
a passi lenti i segmenti tra i cerchi, seguendo un cammino tortuoso che
sembrava avvicinarlo al cerchio più lontano ma se ne riallontanava continuamente.
Dopo qualche minuto, in cui aveva percorso tutti i cerchi tranne il sommo,
"Keter", la "corona", Amos cominciò a scomparire. Fu come
se attraversasse un tendaggio invisibile. Spari il braccio proteso in avanti,
la testa, le gambe, spari il braccio che continuava a essere rivolto indietro.
Binyamin si accorse che aveva quasi
dimenticato di respirare nell'ultimo minuto. Riprese fiato, continuando a
fissare il punto dov'era sparito Amos.
E quando, pochi secondi dopo,
riapparve, lo sguardo del giovane studioso fu immediatamente catturato
dall'oggetto che Amos teneva fra le mani. Sembrava un basso cofanetto rivestito
di pelle e con tre lati corrugati e dorati. La sua concentrazione fu appena
sfiorata dal racconto di Amos, che spiegava che strano posto fosse il futuro,
quanto differente dal presente, come i libri, anziché essere gli usuali rotoli
di papiro, fossero formati di molti singoli fogli tenuti insieme per un lato.
Quindi si trattava di un libro! Che cose meravigliose riservava il futuro!
Quasi tutti avevano percorso
l'Albero, erano scomparsi ed erano riapparsi portando uno di quei libri del
futuro. Ognuno raccontava le peculiarità delle librerie e delle biblioteche
dei secoli a venire, ma il tempo stringeva. Anche se ognuno di loro ritornava
pochi secondi dopo essere partito, indipendentemente da quante ore o giorni
trascorreva nel futuro, due persone non potevano viaggiare simultaneamente. La
scadenza si avvicinava.
Arrivò il turno di Binyamin. Eleazar
lo guardò con affetto patemo, timoroso di che cosa quell'esperienza così
lontana dall'usuale avrebbe potuto riservare al giovane. Ma poi si disse che
anche Binyamin era un sapientissimo rabbino e un esperto cabalista, non meno
di tutti gli altri, uno dei figli più illustri della sua gente. Avrebbe
senz'altro saputo cavarsela nel migliore dei modi.
Così, tra gli auspici di tutti,
Binyamin mise piede nel Malkut.
* * *
5.
Tutti, a Saragozza, conoscevano
la speciale sirena della Eymerichmobile. Anche se non fossero state previste
pene severe per chi ostacolava l'Inquisizione, chiunque sarebbe stato ben lieto
di farsi da parte quando l'Inquisitore d'Acciaio sfrecciava per sanare qualche
torto, combattere qualche eresia e, spesso, salvare la Cristianità.
Nei giorni precedenti Doc Eymerich e
i suoi fidi collaboratori avevano analizzato vari furti e sparizioni in
tutt'Europa, simili all'ultimo misterioso evento. In ogni occasione si trattava
di copie dei primi libri dell'Antico Testamento, quelli che la tradizione
attribuisce a Mosè e che Alatzar si ostinava a chiamare "Torah", per
poi correggersi dopo un'occhiata severa di Doc Eymerich. Ogni volta, il libro
rubato era anche o solo in greco, nella cosiddetta "versione dei
Settanta", quella che fu redatta dai sapienti venuti da Gerusalemme ad
Alessandria nel terzo secolo a.C. i quali, si dice, curarono la traduzione
ognuno individualmente, per poi scoprire di avere ottenuto tutti lo stesso
risultato, evidentemente per ispirazione divina.
Doc Eymerich si era accorto che i
furti seguivano uno schema, come se il ladro tendesse ad allontanarsi
progressivamente da un punto da qualche parte nel Nordafrica o nell'Asia Minore.
I calcoli di Padre C, le informazioni ottenute da Alatzar, riuniti in una
visione d'insieme dall'intuizione di Doc Eymerich, avevano portato a concludere
che il prossimo furto sarebbe avvenuto da Felipete, un rigattiere alla
periferia occidentale della città.
Ed era li che stava ora dirigendosi
a tutta velocità la Eymerichmobile, guidata spericolatamente da Alatzar,
mentre Padre C si aggrappava, bianco in volto, a tutti gli appigli possibili e
l'Inquisitore d'Acciaio si teneva in equilibrio sul predellino esterno del
veicolo, pronto all'azione.
Doc Eymerich saltò giù prima ancora
che l'automobile finisse di fermarsi, piombò nella misera bottega scansando un
Felipete ignaro e intimorito dalla figura possente apparsa con tanta veemenza
e si addentrò di slancio nella parte più buia e polverosa del locale. Già da
lontano aveva intravisto una sagoma muoversi furtiva. Ora aveva di fronte
l'individuo. Era un giovane uomo immediatamente riconoscibile dalla barba,
dalle tempie non rasate e dallo zuccotto sul capo: un giudeo! Avrebbe dovuto
immaginare che un atto così insolito e potenzialmente blasfemo non poteva che
essere opera dei deicidi.
L'uomo fu come paralizzato dalla
visione dell'Inquisitore d'Acciaio, il cui fisico d'atleta in veste di
domenicano non mancava di intimidire chiunque avesse da temere da lui.
Per lunghi secondi si squadrarono,
ma il giovane rabbino non poté sostenere a lungo lo sguardo dell'altro. Eppure,
mantenne la presenza di spirito sufficiente per cercare di afferrare, con una
mano dietro la schiena, la copia della Bibbia che aveva trovato appena prima
dell'arrivo di Doc Eymerich.
Ma il giovane tremava. Pur non
conoscendo l'Inquisitore d'Acciaio, capiva che non era uomo da affrontare alla
leggera. I movimenti della sua mano erano insicuri. Il libro gli sfuggi,
scivolò da una pila a quella accanto, si fermò di sbieco. Binyamin richiamò a
sé tutta la sua forza di volontà, ghermì il libro alle sue spalle e, senza
rialzare lo sguardo, si lanciò nella nebulosa sezione di stanza in cui si
intravedevano segni di gesso di un altro tempo e luogo e scomparve.
Doc Eymerich, l'Inquisitore
d'Acciaio che era abituato alle peggiori nefandezze ereticali, ai più
stupefacenti prodigi divini e ai più ignominiosi atti di stregoneria, che aveva
attraversato gli Inferi e intravisto la Candida Rosa, che aveva sfiorato
l'Abisso e contemplato il Sommo, rimase con un palmo di naso. Binyamin, dal
canto suo, rimase con un palmo di naso per tutt'altro motivo: il libro che
aveva preso per la versione greca della Torah recava sul frontespizio:
Numero
Speciale!
Un'altra
mirabolante impresa dell'Inquisitore d'Acciaio!
Doc
Eymerich e i suoi fidi alleati in
"Minaccia
dal passato!"
Ringraziamenti – Bibliografia
Queste righe, come dice il loro titolo, servono al
contempo per dare un paio di spunti bibliografici per chi fosse stato
incuriosito da qualche aspetto del racconto che precede e come ringraziamento
più o meno indiretto ad alcuni dei libri che lo hanno ispirato.
È addirittura superfluo ricordare i veri romanzi e
racconti di Valerio Evangelisti, che descrivono le imprese del 'vero' Eymerich.
Ovviamente il filo narrativo relativo a Doc Eymerich è al
contempo un omaggio e un'affettuosa presa in giro della saga di Doc Savage,
creato nel 1933 da Lester Dent, e di altri eroi 'pulp' ora un po' dimenticati.
Infine, lo spunto per le vicende dei Settanta (o
Settantadue) vengono da "La biblioteca scomparsa" (Sellerio, 1991) di
Luciano Canfora, documentatissimo ma allo stesso tempo leggibilissimo
racconto della creazione, storia e declino della Biblioteca di Alessandria. In
particolare, le figure di Aristea, Demetrio etc. sono storiche.